On gennaio 17, 2017
di Gabriele Bonafede e Carolina Infantellina
Bastian Contrario di Sergio Vespertino e Marco PomarIntanto perché l’alchimia tra i due corrompe fin dall’inizio. E poi perché tutti i palermitani siamo Bastian Contrario nel midollo. E sapendo, forse a torto, che Marco è molto più “riservato” dell’espansivo Sergio (e in linea con il titolo del suo stesso spettacolo), abbiamo approfittato per incontrare l’attore anziché l’autore. Magari potevano raccogliere qualche anteprima e così saperne di più prima di tutti quanti. Cosa che Marco Pomar forse ci avrebbe opportunamente, e giustamente, negato.
E poi, aldilà di eventuali preconcetti sulla riservatezza di Pomar, il Sergio Vespertino della vita di ogni giorno è sempre in perfetta linea con quello che è il suo personaggio sul palcoscenico: qualcuno che non le manda a dire, e che usa la risata e l’ironia come arma di introspezione personale. Dunque parlerà senza l’uso della tortura.
Va detto che
Vespertino è secondo noi un attore in ascesa, confermata dalla straordinaria prestazione, insieme a Maurizio Bologna, nell’ultimo film di Pif “In guerra per amore”.
Ma, cosa significa, cosa è realmente Bastian Contrario in quanto spettacolo? È d’uopo sapere almeno questo per pronto accomodo. Certo, Bastian Contrario, è una persona che si mette di traverso su tutto e che non accetta le cosiddette lungaggini. Ma forse c’è di più…
“Viviamo in un’epoca in cui la premura e la fretta camminano a braccetto con quella che è la routine quotidiana di ognuno di noi, anche l’andamento della camminata è diventato veloce e spedito, e qui – ironizza – non sappiamo nemmeno esprimerci, paradossalmente, utilizzando il potere della sintesi. Eppure nella vita reale siamo costretti ad essere sintetici al massimo: anche venti parole per creare premessa, cuore del testo ed epilogo… ed un discorso potrebbe già essere concluso. Bisogna fare il Bignami di tutto”.
“Bastian Contrario, nel momento in cui gli si presentano davanti due strade distinte e separate, sicuramente sceglierà di intraprendere quella meno battuta dalla massa. Procede controcorrente, non è un amante delle tendenze e delle mode, non ama affatto le frasi fatte (“dai vieni che ci sono tutti!”, “ma tutti chi?”), cercando sempre di allontanarsi dalla “media” anche a costo di essere contro tutto e tutti. Insomma, la sua frenesia risiede proprio nella sua pace interiore fuori dalla normalità e le tendenze”
Vespertino e Bologna non la mandano a direDecisamente, c’è del Pomar in Danimarca… Tanto che Vespertino conferma l’andazzo: “Bastian Contrario ha anche un rapporto con Dio, lo nomina, lo chiama. Anche la sola vista di un oggetto fa sì che ci parli perché è assodato che Dio sia immanente. Pone domande che sono un po’ surreali, si chiede quale sia il perché del perché delle cose che all’apparenza può sembrare sciocco ma che, per un pubblico attento, nasconde e conserva una sua particolare ragione“.
Vespertino tiene a ricordare che non c’è solo la comicità ma, come in tutti i suoi spettacoli, si trovano momenti teneri e riflessivi. D’altronde la migliore risata, possibilmente, è quella che fa scaturire la riflessione, la messa in discussione di se stessi. La sfida che si sono proposti Vespertino e Pomar “è proprio quella di giocare con ognuno di noi, di poter mettere in ciascuno questo seme di riflessione, così che la gente possa andarsene con un piccolo compito per casa.”
La scena dello spettacolo sarà condivisa dal maestro fisarmonista Pier Paolo Petta, compositore delle musiche. Che sono tutte originali.
La collaborazione con Marco Pomar? È frutto di una conoscenza pregressa. Sì, pregressa, non regressa. No, no, nemmeno repressa…
Infatti, i due hanno lavorato insieme allo spettacolo “Flic e Floc” di giugno 2016, con Paride Benassai. Anche se questa è stata la prima loro collaborazione nei testi. Entrambi stanno vivendo insieme le tematiche care all’uno e all’altro lavorando al fine ultimo e rassicurante di vedere quale sia il risultato.
Un selfie a tre: Paride Benassai, Marco Pomar e Sergio VespertinoQui nasce spontanea un’osservazione: forse, forse, aldilà di quanto vagamente detto su noi palermitani, Bastian Contrario è anche un personaggio più strettamente autobiografico?
“Affermativo”, sancisce Sergio. E ce lo aspettavamo. Possiamo ritirare il premio alla Lottomatica.
“C’è un riscontro con molte affinità, è un humus che ci appartiene ma che poi si espande, stirando la realtà e facendola arrivare fino al surreale, creando una vera e propria malattia del personaggio.”
Per l’unicità dei temi e del modo particolare in cui essi sono trattati, Vespertino pensa che la caratteristica del pubblico ideale sia la maturità, non intesa come un fattore di anzianità ma di senso critico personale. Lo spettacolo è fruibile ad ogni fascia di età, è noto che non usi mai parolacce e non ami gli eccessi stucchevoli.
Vespertino ci ha descritto una scena dello spettacolo in cui c’è un dialogo con le clessidre, il tempo che trascorre per antonomasia, in cui il granello di sabbia ha un doppio significato: “è, infatti, un secondo in meno di vita ma allo stesso tempo un secondo in più da vivere”.
Marco, non guardarci così...Paradossi danesi, s’intende.
Sono le piccole riflessioni che automaticamente solleciteranno altre corde nel cuore del pubblico. Celata dietro la comicità del personaggio, delle battute e del contesto, si potrà riconoscere e capire la melanconia.
La melanconia è un aspetto che Vespertino evidenzia in tutti i suoi spettacoli, “va intesa come se nel nostro cammino, nella nostra vita frenetica abbiamo lasciato dei pezzettini sparsi che ci sono caduti e che non abbiamo avuto il tempo o che non abbiamo voluto raccogliere e quindi non abbiamo voluto riconoscerci.”
“
Alcune cose appartengono al tempo stesso non ritorneranno più e sono conservate nella nostra memoria. Ma se da un lato abbiamo perduto qualcosa, dall’altro, in un’ottica positivistica, abbiamo ancora del tempo davanti; magari non si possono fare più le cose fatte un tempo ma queste stesse posso essere svolte in altro modo.”
Vespertino consiglia di vedere lo spettacolo pensando al di sotto del testo: in ogni risata ci sono delle parole che faranno pensare.
Non possiamo che ringraziare Sergio, con l’ovvia raccomandazione di non dire nulla a Marco.
L'intervista con l'attore Sergio Vespertino di Gianfranco De Cataldo pubblicata Gianfranco De Cataldoil nostro redattore Gianfranco De Cataldo ha intervistato l’attore Sergio Vespertino. Di seguito l’intervista esclusiva per voi lettori.Ciao Sergio! E’ un vero piacere ospitarti sul nostro portale. Iniziamo dalla prima domanda. Un bel tuffo nel passato. Da bambino cosa sognavi di fare?Inizio questa intervista con una risata, mi piace la domanda, e non posso che continuare a sorriderne intanto che scrivo… da bambino, come tutti i bambini, l’intera vita è un sogno. Ogni giorno la scoperta di qualcosa. Altrettanto forte ti giunge una delusione, ma per quanto possa essere un crollo, dura esattamente un giorno o poco meno. Da bambino sognavo ad occhi chiusi ma anche ad occhi aperti. Sognavo di volare, poter sollevare il corpo non so con quale forza del pensiero e guardare il mondo da un’ottica diversa. Sognavo di ridere sempre, e divertirmi con i miei amici. Sognavo storie fantastiche dove io ero sempre tra i protagonisti.
Adesso, a ben pensarci, ho realizzato tutti i miei sogni. Anche quello di volare.Cosa significa essere attori, oggi.Non ho idea di cosa sia stato ieri, essere attori, e quali difficoltà o quali vantaggi, ma non voglio pensare tirando fuori questi poli opposti, poche righe non basterebbero. La vedo nel modo più puro, essere attore oggi come ieri significa
dare al pubblico che assiste uno spettacolo una magnifica fonte di ispirazione! Non solo per lo spettatore ma anche per l’attore stesso, in ogni opera, lavoro, rappresentazione, ne trae spunto per la propria crescita interiore e la propria formazione.
Le soddisfazioni che ti sei tolto (un po’ di autocelebrazione non fa mai male!).Piuttosto che scrivere “le soddisfazione che mi sono tolto” direi “che ho aggiunto”, cioè non tanto dimostrare agli altri, quanto la gioia di aver aggiunto a me stesso l’aver lavorato con dei grandi dello “teatro”: la mia genesi la devo a Pippo Spicuzza e ne riconosco la paternità. Poi tuccio Musumeci, Romano Bernardi come regista, anche Giuseppe Di Pasquale, attori grandi come Giulio Brogi, Riccardo Garrone, Pippo Pattavina e credetemi tanti altri. Ma scelgo di citare come ultimo,
come montagna d’alta vetta il maestro Turi Ferro. Ecco viverlo ogni sera per mesi di ciurcuito italiano, duettare con il grande Turi Ferro, non ti lascia solo qualcosa. Ti segna dentro un solco, anzi prima scava, distrugge ogni cosa e ricostruisce nuova energia da trasmettere. Ancora oggi, questi nomi vivono durante i miei movimenti di scena, anche fosse un solo ammiccamento o modo di porgere una battuta.
Generalmente per un attore bisogna avere chiaro cosa il personaggio sia per se stesso, assorbirlo, ma avere poi l’elasticità di farsi guidare dalle emozioni. Ci racconti come ti prepari?Ogni attore, prima di entrare in scena, ha le sue “fisime”, o vogliamo chiamarli “riti”. Volendo tralasciare, per ovvi motivi di intervista, la preparazione mentale e tecnica riguardante il copione ed i movimenti fisici e vocali all’interno dello stesso, mi limito a fornirvi ciò che accade dentro il camerino prima di un debutto: attori fissati con la respirazione, e li vedi come fossero delle pompe a pressione; chi, invece, beve the o tisane non limitandosi alla semplice tazza ma direttamente dal bidone; chi riempie il tavolino e lo specchio del camerino di oggetti scaramantici, candele, e feticci portafortuna.
Io ripeto velocemente, pattinando con gli occhi, il copione, ad un volume di voce (impercettibile ma che io possa sentirmi), tanto da apparire agli occhi di chi mi vede come se stessi in preghiera, recitando un rosario. Diciamo che al volo invio a me stesso un ultima memoria visiva, fotografica e vocale. Tengo a precisare che prima di entrare a teatro, amo andare in un bar a prendermi un cappuccino; mi coccola.
Il tuo primo esordio, cosa ricordi?Spensieratezza, più che tensione; mi affascina sempre l’idea del gioco, del divertimento.. dico sempre a me stesso: “
se quello che leggo e che faccio mi diverte, riesco veramente a divertire.”L’importanza della formazione artistica.Nel caso mio la formazione l’ho vissuta durante il campo di battaglia e la formazione non è mai finita, come del resto la battaglia stessa. Allora, se così lunga, si tratta di una guerra ed avere le armi migliori ti favorisce non poco, ma devi mettere la
“tua dote innata” nel saperle utilizzare. Per carità, stiamo parlando di armi bianche; e la stessa guerra non sono altro che carrarmati di sentimenti ed emozioni ma voglio semplicemente sottolineare che
la tecnica senza quella fiammella accesa dentro, che puoi chiamare “senso artistico”, non può reggere a lungo; camminano tenendosi per mano. Vale per il pittore (che vale conoscere il chiaro-scuro o il puntinismo, se poi dentro non hai), il poeta (sapere la metrica delle parole, ma se poi dentro non hai) ecco, parlo di questo; sempre per farla breve.
L’aspetto di Sergio nascosto al pubblico?…continuo a tenerlo nascosto.. altrimenti tolgo magia alla domanda…
Il progetto al quale rimani piu’ affezionato.Mi viene solitamente da pensare l’ultimo lavoro, perché il più vicino a quello che sono nella vita… perché in ogni mio lavoro vi è molta trasmissione dei miei stati d’animo del momento… però, voglio utilizzare anche la frase di un grande artista:
il lavoro più bello è quello che deve ancora venire.Rascatura : parlaci di uno dei tuoi ultimi lavori.In realtà “rascatura” non ha solo me come paternità… è frutto di una scrittura a tre: oltre me, Salvo Rinaudo ed Ernesto Maria Ponte; con quest’ultimo divido la scena. Dopo undici anni lontani dal recitare insieme, io ed Ernesto abbiamo voluto ritrovarci in un lavoro che offre vari spunti di riflessioni e sonore risate. Come luogo abbiamo scelto la stanza di un ospedale, e noi due malati, non si sa bene di che ma malati. Non passa nessun medico o infermiere, non un parente o qualsiasi estraneo ed in questa desolazione e condizione saltano fuori tutti i perché della vita, tante domande, i desideri e soprattutto le ansie e le paure… ecco, si ride ma, di frequente la risata si trasforma in qualcosa su cui pensare.
Ti senti legato alla tua terra ? Rimane sempre un riferimento nei tuoi lavori?Se molte volte sento ripetermi la frase: “ma com’è possibile, tu ca si bravo, che sei ancora qua, e chiddu… che non ha chiossai ri tia è ddà, in televisione?” beh, non ho mai utilizzato a fondo le mie amicizie per fini che non siano l’amicizia stessa; non ho mai sopportato l’assistenzialismo se non per la collettività; l’amico degli amici; “u-futti-cumpagnu” ecc… potevo scegliere due strade:
il lavoro o la vita. Ho scelto la vita. Ero giunto quasi ad un bivio dove, perseguire così a testa bassa il lavoro, magari per raggiungere la nazional popolarità, potevo rischiare di perdere pezzi importanti della mia vita che avevo costruito… beh, il resto lo capite voi stessi quale strada abbia deciso di perseguire. Magari non mangerò pane e caviale, non credo stia mangiando pani e olive. Mangio pane e pomodorini di pachino, che credetemi sono pure buoni… signori miei, credetemi, per me l’America è qua.
Progetti futuri?Sperare di continuare a stare qua.. e lavorare con la stessa intensità di sempre. Quindi quello che spero veramente è contare molto sulla mia «creatività».
Manda un saluto ai nostri lettori.Ciao e buona lettura. Però, vediamoci poi a teatro perchè uno spettacolo «dal vivo» ripaga tantissimo, piuttosto della passività a star davanti ad un televisore.